Antonio Ligabue

ligabue tigre
Tigre" 1952-1962
22x33 disegno a matita su carta
Opera firmata in basso a destra
Antonio Ligabue - Gallo 1952-1962 - 24x34 disegno a matita su carta

“Tigre” 1952-1962
22×33 disegno a matita su carta
Opera firmata in basso a destra

“Gallo” 1952-1962
24×34 disegno a matita su carta
Opera firmata in basso a destra

“Tigre” e “Gallo”, disegni a matita su carta realizzati da Antonio Ligabue (Zurigo 1899 – Gualtieri, 1965), sono riferibili al terzo periodo della carriera dell’artista.
I due disegni rappresentano uno tra gli argomenti privilegiati da Ligabue, la rappresentazione del mondo animale, sia quello domestico a lui noto, che popola la campagna, sia quello esotico, conosciuto attraverso i libri a soggetto naturalistico (visti dagli amici, il pittore Mazzacurati e lo scultore Andrea Mozzali) il serraglio dello zoo (quello di San Gallo, in Svizzera, dove veniva frequentemente portato da adolescente), e i circhi, che spesso percorrevano i paesi della Pianura Padana.

Lo stesso Antonio Ligabue si definisce “pittore di animali”, soggetti che osservava per ore e di cui studiava attentamente l’anatomia, replicandone allo specchio le gestualità: era convinto che gli animali vedessero la realtà per quella che era, diversamente dagli uomini.
Nel rappresentarli cercava di cogliere, per traslato, la psicologia umana: non era infrequente che nell’aggressività dei felini, spesso intenti a cingere la preda, o nella stolidezza degli animali da cortile indicasse, metafora neanche troppo velata, comportanti e debolezze umane. La lotta tra animali fu un tema molto rappresentato nelle opere di  Ligabue,  soprattutto durante gli anni Cinquanta del Novecento.

«Quando dipingeva animali feroci si identificava con loro a tal punto da assumerne gli atteggiamenti. Ruggiva spaventosamente, e imitava il leone, la tigre, il leopardo nell’atto di azzannare la preda. Sorprendente era la sua conoscenza della struttura anatomica degli animali, dei loro istinti, della loro forza».

Marino Renato Mazzacurati

La vicenda umana di Antonio Ligabue racconta una storia non del tutto inedita nella storia dell’arte: il genio creativo che si esprime nella dimensione del disagio mentale e in un percorso di vita tormentato e solitario, ma non per questo è meno intenso e sentito. Il disagio psichico diventa piuttosto una porta su una visionarietà che si apre a possibilità sconosciute, che solo l’occhio che sfugge agli schemi consueti può cogliere e che svela punti di vista inaspettati, in grado di sollecitare l’inconscio. Tecnicamente I soggetti sono spesso frontali, le linee decise, le figure piatte e prive di prospettiva, il colore ripartito in blocchi uniformi, la profondità è restituita dall’accostamento delle tinte.

L’arte di Ligabue pare fatta di istintività di fervida immediatezza, primitiva, non filtrata da sovrastrutture concettuali o convenzioni teoriche e stilistiche: non a caso è stata a più riprese accostata alla pittura di Henri Rousseau, detto il Doganiere, (Laval, 1844 – Parigi, 2 settembre 1910), un’arte naïve che vede come elemento formale (e di significato) l’utilizzo di un’intensa cromia, l’horror vacui della composizione e uno stile caratterizzato da forti contorni e campiture di colore.

La visione delle immagini lasciano intuire la tensione e l’eccitazione che hanno caratterizzato il momento della loro creazione e che continuano ad animare i soggetti raffigurati: la sua opera, grazie ad una sensibilità profonda, racconta in modo potente, coniugando bellezza e crudele realismo, la realtà della vita stessa.