Alberto Pasini
“À Constantinople, Santon à la porte d’une mosquée” 1873
46 x 27 cm, olio su tela
Quest‘opera è presente nell’asta di dipinti di giugno 2025
Nel dipinto À Constantinople, Santon à la porte d’une mosquée, realizzato nel 1873, un santone appare assorto, quasi ieratico,di fronta all’ingresso di una moschea. È un’immagine rarefatta, sospesa nel tempo, in cui la precisione del disegno si intreccia alla poesia della luce. Il dipinto rappresenta appieno il percorso artistico e umano di Alberto Pasini, raffinato interprete dell’Orientalismo ottocentesco, capace di trasfigurare l’esperienza del viaggio in una pittura colta e sensibile, ben lontana dall’ esotismo di maniera.
Pasini nacque a Busseto nel 1826, in una famiglia dove l’arte era di casa: lo zio Antonio, miniaturista, ne orientò sin da ragazzo il talento verso la pittura. Gli anni di formazione a Parma, sotto la guida di maestri come Paolo Toschi, furono segnati da un apprendistato attento al paesaggio, al disegno e alla litografia, tecniche che gli avrebbero poi consentito di fissare con rapidità e precisione i dettagli di scene lontane, osservate nel corso dei suoi numerosi viaggi.
Dopo una breve esperienza nella prima guerra d’indipendenza, Pasini si trasferì a Parigi, cuore pulsante della scena artistica europea. Fu qui che conobbe l’ambiente dell’École de Barbizon, che ne affinò la sensibilità luministica, e fu sempre qui che nel 1855 ottenne l’incarico che avrebbe segnato la svolta della sua carriera: l’artista fu infatti scelto per prendere parte a una missione diplomatica in Persia, al seguito del ministro Prosper Bourée. Da quel momento, l’Oriente divenne per Pasini non solo un tema pittorico, ma una vera e propria vocazione espressiva. Viaggiò a lungo tra Turchia, Arabia, Egitto, Palestina, Grecia e Spagna, tracciando un itinerario personale e poetico che si riflette in opere di grande raffinatezza, capaci di cogliere la solennità dei paesaggi, il silenzio delle moschee, il brulichio dei bazar. Non era l’Oriente fiabesco dei pittori da salotto, ma un universo filtrato da uno sguardo empatico e partecipe, nutrito da un’osservazione diretta e dal rispetto per le culture incontrate.
À Constantinople, come molte altre tele nate dal soggiorno turco del 1873, dimostra quanto la pittura di Pasini sapesse fondere l’esattezza del reportage con l’emozione della memoria. I suoi santoni, i cammelli in sosta, le carovane, non sono stereotipi, ma presenze vive, rese con una tavolozza tersa e una composizione che invita alla contemplazione.
Pur mantenendo uno studio a Parigi e frequentando regolarmente i Salons, Pasini si stabilì a Torino a partire dagli anni Settanta, nella villa “Rabaja” di Cavoretto, da lui trasformata in un rifugio orientaleggiante. Nonostante il successo internazionale – medaglia d’oro all’Esposizione di Parigi del 1878, ufficiale della Legion d’onore, pittore prediletto di Goupil – Pasini restò sempre fedele alla propria indipendenza: rifuggiva dalle scuole e dalle mode, preferendo alla retorica accademica un linguaggio personale, che si nutriva del vero per poi trasfigurarlo.
«Sentivo luce e colore dinanzi al vero, e non pensavo al modo con cui gli artisti del tempo mio li rendevano sulle loro tele», dichiarava in un’intervista del 1895. In queste parole si riassume l’essenza della sua poetica: la pittura come esperienza intima, come traduzione lirica di un altrove vissuto con intensità.