Autoritratto,
olio su cartone telato, 1916
Personaggio eclettico, precocemente dotato nella pittura, Aroldo Bonzagni nasce nel 1887 a Cento, il paese del Guercino; nel 1906, grazie ad una borsa di studio offertagli dal Comune e all’appoggio della famiglia, in particolare della madre che molto credeva nelle sue possibilità, si trasferisce a Milano per iscriversi all’Accademia di Brera.
In questo primo periodo milanese, oltre al dedicarsi al disegno e alla caricatura, già coltivati fin dalla prima giovinezza, Bonzagni si interessa al divisionismo e, parallelamente, si avvicina al primo futurismo, grazie anche ad una solida amicizia che lo lega ad Umberto Boccioni, (modello di un bel ritratto giovanile). Nel 1910 è fra i sottoscrittori del primo Manifesto dei Pittori futuristi (con Boccioni, Carrà, Russolo e Romani). Non condividendo tuttavia alcune scelte espressive dei compagni, soprattutto riguardo ai temi scelti, si allontana successivamente dal movimento.
Dopo numerose esperienze che lo vedono coinvolto in diversi lavori (anche pubblicitari, “compromessi” a cui scendeva per ragioni economiche) e un breve viaggio in Argentina, dove collabora al periodico umoristico El Zorro, disegnando vignette a soggetto sociale, nel 1915 Bonzagni si stabilisce definitivamente a Milano, dove apre uno studio: la sua attenzione torna a indirizzarsi su temi popolari, alla vita dei poveri e degli ultimi, coniugando uno stile più asciutto ed essenziale.
In seguito si dedicherà soprattutto a soggetti tratti dalla quotidianità borghese (ma non è da dimenticare la prestigiosa committenza di affreschi per Villa San Donnino della Nizzola, presso Modena), ritraendoli con vivida immediatezza, non senza toni sarcastici tendenti al grottesco, e ad una certa critica di costume, particolarmente nei confronti della vita elegante.
Bonzagni muore nel 1918 a Milano. Nella Natia Cento gli è stata intitolata la Galleria d’Arte Moderna, aperta nel 1959 e ampliata nel 1964 per interessamento della sorella Elva, musicista di talento.
L’autoritratto del 1916 eseguito all’età di 29 anni (solo due anni prima della scomparsa prematura, a causa della Spagnola) restituiscono pienamente un carattere ribelle e ironico, un dandy amante della moda e della bella vita. Un artista che riuscì ad emergere per il suo talento in un tempo rapidissimo anche grazie ad una energica capacità di sopravvivere nel mondo dell’arte con originale baldanza e mano sicura.
Si ritrasse in diverse occasioni ma certamente l’autoritratto del 1916 è del tutto particolare per l’impostazione: sullo sfondo le figure raffinate della borghesia milanese soggetti dei suoi dipinti, Bonzagni in primo piano ma di spalle (forse interrotto mentre dipinge?), il busto ruotato verso lo spettatore, lo sguardo diretto, pungente e ironico, il riso inconsueto in questo tipo di ritrattistica.
Un modello originale, forse una citazione colta che si potrebbe individuare, come suggerisce in un recente articolo Micaela Torboli su “La Nuova Ferrara”, in un celebre ritratto maschile della metà del XVI secolo oggi conservato nella Pinacoteca Civica Inzaghi di Budrio (in provincia di Bologna, poco lontano da Cento, sua città natale): un uomo barbuto, vestito in modo esotico, ride di gusto, il busto in torsione verso lo spettatore; molto ricorda il nostro (si notino in particolare le sopracciglia e i denti, e la stessa torsione del busto, seppur meno accentuata).
Il dipinto, in cui i critici ravvisano un ritratto del filosofo Democrito, è stato attribuito a Dosso Dossi, il grande pittore della prima metà del ‘500 attivo alla corte dei Gonzaga, che ritrasse spesso volti dalle espressioni marcate, quasi caricaturali, spesso intente a ridere o sorridere.
Un omaggio quindi alla propria terra e alla cultura visiva che egli ben possedeva e che rielaborava con originale inventiva.