“Bagnanti”, ante 1926
olio su tavola, 102 x 110 cm.
Nato in una famiglia borghese, studia all’Accademia Albertina di Torino dove segue i corsi di Giacomo Grosso e assimila la lezione di Bistolfi e di Segantini. Nel capoluogo sabaudo frequenta l’ambiente intellettuale e letterario, finché non si trasferisce a Roma nel 1906; di questo primo periodo si ricordano i diversi viaggi di studio in Europa (Parigi, Basilea, Monaco…), che molto influenzeranno il suo linguaggio.
Pittore “rivelazione” alla Biennale del 1912, si afferma come figura di spicco della pittura del tempo. Osannato tra le due guerre, diventa professore all’Accademia di Firenze nel 1924, partecipa con una mostra personale alla Biennale di Venezia nel 1926, viene nominato Accademico d’Italia nel 1933, Commissario nazionale del Sindacato sotto Salò, e infine si aggiudica il Gran Premio alla Biennale del 1940.
Nel Secondo dopoguerra Carena, non esente dalle conseguenze di una certa rimozione ideologica poiché visto come artista di regime, è preda di una crisi umana e artistica: abbandona la sua villa fiorentina, occupata dai tedeschi, e si ritira nel convento di San Marco; l’anno dopo si trasferisce a Venezia, anche per stare vicino alla figlia illegittima Marzia. Qui rifiorisce la sua vena creativa, influenzata non solo dai gradi maestri francesi ma debitrice della grande lezione dell’arte del Cinquecento e della scuola veneta, come si può notare nello stile dei dipinti del periodo.
Espone ancora alle Biennali del 1950, 1954 e 1956, e in numerose mostre in Italia e all’estero negli anni Cinquanta e Sessanta; nel 1951 dipinge una pala d’altare nella Chiesa di San Rocco, nel 1963 una Deposizione per la Chiesa dei Carmini. Alla sua morte lascia alla Galleria d’Arte Moderna di Cà Pesaro alcuni dipinti e venticinque disegni e alla Fondazione Cini un gruppo di 60 disegni.
“Le Bagnanti” fu esposto alla Biennale di Venezia del 1926, dove Carena espose in una sala personale circa 50 opere: tra queste “Gli Apostoli”, oggi alla Galleria d’Arte Moderna di Firenze. Notevoli i punti di contatto con un dipinto dal simile soggetto dal titolo “La Quiete”, esposto alla Biennale del 1922 (oggi alla Galleria Oddi Baglioni e, in una versione simile, ai Musei Reali di Torino).
Nei dipinti di questo decennio, tra i più alti qualitativamente della sua carriera, già la critica del tempo (tra cui Ugo Ojetti e Antonio Maraini) sottolineava la capacità di Carena di coniugare in un linguaggio coerente ed moderno numerose citazioni dell’arte del passato, ma anche della pittura più recente: artisti come Tintoretto, Giovanni Bellini, Caravaggio, o, come evidente in questo caso (in special modo nella figura di destra e nel paesaggio) Giorgione, ma anche Cézanne, di cui Carena era grande estimatore, sono colti richiami sia per la resa scultorea delle figure, preziosamente modellate dalla luce, che per la dimensione tonale della tavolozza, che sfuma i colori con tecnica sapiente e sicura; si veda a questo proposito il confronto con la bella tavola dal medesimo soggetto, oggi alla Galleria d’Arte Moderna di Roma.