
Convegno “L’Industria dell’Arte”
Gallerie d’Italia, Torino – 12 giugno 2025
Il convegno “L’Industria dell’Arte”, svoltosi il 12 giugno 2025 presso le Gallerie d’Italia di Torino, ha rappresentato un’occasione di confronto ad ampio raggio sulle molteplici dimensioni che compongono oggi l’ecosistema culturale italiano. Promosso da ISI – Innovation Services Industry dell’Unione Industriali di Torino, l’incontro ha preso il via con i saluti istituzionali del presidente Maurizio Bazzano, seguiti da un’introduzione di Vanessa Carioggia, vicepresidente ISI e titolare – con il fratello Claudio – di Sant’Agostino Casa d’Aste a Torino, che ha offerto una panoramica sul valore crescente dell’industria dell’arte in Italia e nel mondo, sottolineando come arte impresa e territorio possano concorrere a una visione integrata di sviluppo.
La tavola rotonda, moderata dalla stessa Carioggia, ha messo in dialogo esponenti del mondo museale, imprenditoriale, bancario e creativo.
Come introduzione Carioggia ha fornito un quadro globale del mercato dell’arte, stimato in 57,5 miliardi di dollari e dominato da Stati Uniti (43%), Cina, Regno Unito e Francia. In questo contesto, l’Italia, pur custode di un patrimonio culturale di straordinario valore, pesa meno dell’1% sul mercato globale, collocandosi addirittura al di sotto della Spagna. Il sistema artistico italiano conta circa 5.000 musei, con oltre 480.000 opere esposte e 187.000 conservate in depositi, e attira più di 65 milioni di visitatori l’anno. Tuttavia, la sostenibilità economica di queste istituzioni rimane una delle sfide più pressanti: i costi fissi elevati gravano sulle spalle dei musei, dove la biglietteria copre poco più di un terzo dei ricavi, mentre il resto dipende da finanziamenti pubblici e privati: i servizi accessori offrono solo un contributo marginale. Guido Curto, già direttore dell’Accademia Albertina di Torino, di Palazzo Madama a Torino e della Reggia di Venaria, ha evidenziato la necessità di un approccio imprenditoriale che non insegua il mero profitto ma favorisca la professionalizzazione e la valorizzazione di competenze specialistiche ancora scarsamente formate nei percorsi universitari tradizionali. Esemplare è l’esperienza della Reggia di Venaria, dove è stato istituito un corso dedicato ai giardinieri, che oggi collaborano con architetti e progettisti, dimostrando come i musei possano diventare centri di formazione e innovazione.
Un altro importante tassello del convegno è stato l’intervento di Laura Feliciotti, responsabile delle Gallerie d’Italia di Intesa Sanpaolo, un progetto museale che integra il patrimonio artistico delle banche confluite nel gruppo. Con sedi a Torino, Milano, Napoli e Vicenza, le Gallerie custodiscono circa 40.000 opere distribuite in oltre 400 siti, rappresentando un esempio concreto di come l’arte possa essere valorizzata come un asset reputazionale strategico per l’impresa. Il patrimonio è arricchito continuamente, con particolare attenzione alle tendenze contemporanee e al legame con il territorio, come testimonia l’interesse verso la fotografia torinese. L’approccio di Intesa Sanpaolo dimostra che l’impresa privata può non solo preservare ma anche incrementare il patrimonio culturale nazionale, promuovendo lavoro specializzato e una narrazione artistica dinamica basata su mostre temporanee che rinnovano l’interesse del pubblico e valorizzano le collezioni permanenti.
Mercato e oltre: dinamiche, sfide e opportunità nella filiera dell’arte
Nel secondo panel del convegno si è discusso delle molteplici componenti della filiera dell’arte, dalla vendita alle aste, dalle fiere alla logistica, fino alla custodia e protezione delle opere. Sul palco si sono succeduti protagonisti di spicco come Sonia Farsetti Umberto Benappi e Luigi Fassi, offrendo un’analisi approfondita dello scenario italiano ed europeo.
Sonia Farsetti, presidente dell’Associazione Nazionale Case d’Asta, ha illustrato un quadro positivo ma cauto del mercato delle aste in Italia. Il settore ha registrato negli ultimi anni una crescita significativa, sia in termini di operatori che di pubblico, grazie anche alla digitalizzazione, che ha facilitato l’accesso di nuovi collezionisti e appassionati a uno strumento tradizionalmente meno diffuso nel nostro Paese, dominato dalla relazione diretta tra gallerie, antiquari e clienti. La casa d’asta viene così descritta non tanto come promotrice dell’arte, ma come un termometro del mercato, dove domanda e offerta si incontrano in un ambito variegato che spazia dal collezionismo classico all’arte moderna e contemporanea, comprendendo anche gioielli, orologi e libri antichi.
Tuttavia, il sistema italiano soffre di alcune fragilità: le case d’asta sono per lo più piccole e medie imprese familiari con forte radicamento locale, incapaci di competere con i grandi gruppi internazionali. Le grandi maison come Sotheby’s e Christie’s hanno progressivamente ridotto la loro presenza in Italia, concentrandosi su Milano e sull’arte contemporanea, mentre il mercato dell’arte antica, un tempo trainante, è oggi in crisi. Inoltre, la Brexit ha spostato il baricentro europeo del mercato dall’Inghilterra alla Francia, che ha adottato politiche fiscali favorevoli, come la riduzione dell’IVA al 5,5%, rendendo Parigi un hub sempre più competitivo. In seguito a queste dinamiche, Christie’s ha cessato le aste in Italia, mantenendo solo un ufficio di rappresentanza.
Di fronte alle difficoltà strutturali del mercato dell’arte italiano, è nata l’iniziativa del gruppo Apollo, un’aggregazione di gallerie, case d’asta, trasportatori e assicuratori che si propone come interlocutore autorevole per le istituzioni. L’obiettivo è promuovere una normativa più favorevole e moderna, in particolare rispetto alla legge italiana sull’esportazione dei beni culturali, ancora regolata da un Codice del 1939. Tale normativa impone infatti lunghe e complesse procedure burocratiche, anche per opere di modesto valore, riducendo la competitività dell’Italia nel contesto europeo.
A questo quadro si aggiunge la testimonianza di Umberto Benappi, gallerista torinese di quarta generazione, che racconta con realismo e passione la situazione delle gallerie d’arte italiane. Il mercato si caratterizza per un’offerta abbondante e frammentata, con una crescita di fiere e case d’asta che mette in crisi la centralità tradizionale delle gallerie. I principali poli di attrazione del collezionismo rimangono Torino, Milano e Roma. Per competere, le gallerie hanno dovuto reinventarsi, puntando su una presenza attiva nelle fiere internazionali e sulle piattaforme digitali, che ampliano la visibilità e offrono nuovi strumenti finanziari, alleggerendo gli oneri tradizionali. Benappi ha osservato anche un cambiamento nel profilo dei collezionisti: accanto a quelli storici, emergono giovani imprenditori e professionisti attratti dall’arte contemporanea e dal rapporto diretto e personale con il gallerista. Per lui, la dimensione umana resta fondamentale: il lavoro con gli artisti è una fonte quotidiana di passione, capace di superare la routine amministrativa e di restituire un’esperienza creativa e poetica.
Luigi Fassi, direttore di Artissima, sottolinea il ruolo insostituibile delle fiere d’arte contemporanea, un format tradizionale ma ancora vitale. Nel 2021 si sono tenute 365 fiere dedicate esclusivamente all’arte contemporanea, confermando la forza di questo modello. Le fiere sono eventi intensi e concentrati, in cui galleristi, collezionisti e appassionati si incontrano in un breve arco di tempo, generando un ecosistema di relazioni, scambi e scoperte simile a un dramma aristotelico.
Fassi ricorda le origini delle principali fiere, come Art Cologne e Art Basel, nate in territori con un tessuto economico solido. Artissima, in particolare, si distingue per la sua identità profondamente radicata nel territorio torinese e la focalizzazione esclusiva sull’arte contemporanea, rispondendo a una domanda in continua evoluzione. Il direttore richiama l’urgenza di politiche culturali lungimiranti che sappiano valorizzare sia il significato simbolico sia il valore economico dell’arte. Per uno sviluppo sostenibile del settore è necessario snellire la burocrazia, facilitare gli scambi internazionali e la mobilità delle opere, ponendo le basi per una vera industria culturale italiana. La fiera d’arte è un indicatore chiave della salute imprenditoriale e culturale del territorio che la ospita, riflettendo la complessa e imprescindibile interconnessione tra mercato, creatività e comunità.
Alvise Di Canossa, fondatore di Arterìa e Art Defender, ha aperto il suo intervento sottolineando l’importanza di un settore spesso invisibile ma cruciale: il backstage della cultura. Dietro ogni mostra, fiera o evento espositivo, infatti, si cela un sistema logistico altamente specializzato, capace di garantire la movimentazione sicura e professionale di opere d’arte, beni di lusso e beni culturali. Senza questo apparato, nulla di ciò che amiamo visitare potrebbe esistere. Questa realtà opera nell’ombra, con competenze tecniche raffinate, protocolli rigorosi e sistemi informatici avanzati. Un universo fatto di professionalità silenziose che molti, persino tra gli appassionati, tendono a trascurare. Di Canossa racconta di come, nei corsi universitari sull’economia della cultura, stimoli gli studenti a riflettere su quanto lavoro complesso e pianificato sia necessario per far giungere un’opera d’arte in mostra, dall’origine fino al luogo espositivo. Dopo la pandemia, l’offerta culturale italiana è cresciuta, con l’obiettivo di attrarre un pubblico sempre più ampio e variegato. Qui la logistica si conferma non solo una questione di sicurezza, ma un fattore chiave per lo sviluppo culturale ed economico del Paese.
Di Canossa evidenzia come sia fondamentale affidarsi a strutture organizzate e competenti, in grado di tutelare la sicurezza fisica e il valore culturale di ogni opera, che spesso vale miliardi di euro assicurati. Tuttavia, un danno o una perdita non sono mai risarcibili da polizze assicurative, rappresentando una perdita irreparabile per il patrimonio globale.
Impresa e arte: contaminazioni possibili
Il panel successivo ha esplorato le sinergie virtuose tra mondo imprenditoriale e arte e ha coinvolto l’artista Richi Ferrero, l’imprenditore Luca Boffa (gruppo Building), l’imprenditrice Maria Cristina Fresia (Fresia Alluminio) e la curatrice Francesca Canfora. Richi Ferrero ha raccontato la nascita della collaborazione con Building, partita nel 2011 con la richiesta di valorizzare un edificio in via Alfieri 6 a Torino. Il progetto si è rivelato pionieristico: nessuna finalità promozionale, ma il desiderio autentico di dare identità e anima a un luogo. L’opera luminosa di Ferrero ha contribuito a far ottenere al palazzo il prestigioso riconoscimento internazionale Building of the Year di ArchDaily. Luca Boffa ha spiegato la filosofia del gruppo Building, che integra tutte le fasi della filiera immobiliare e investe sistematicamente nell’arte per creare valore duraturo. Con Ferrero hanno realizzato sei opere, trasformando edifici in luoghi riconoscibili e frequentati, come nel caso di Number 6, divenuto un punto di riferimento anche turistico. Maria Cristina Fresia ha condiviso l’esperienza di trasformazione estetica della propria sede aziendale, grazie a un intervento dell’artista Ugo Nespolo. L’arte ha migliorato la qualità degli spazi, l’identità aziendale e il benessere dei dipendenti, contribuendo a un clima positivo e partecipato. Francesca Canfora, curatrice e ideatrice di Paratissima, ha sottolineato l’importanza del fattore umano: la passione per l’arte da parte di chi guida le imprese è l’elemento che rende possibili queste contaminazioni. Ha raccontato esperienze di collaborazione con Building e con realtà extra-piemontesi come Superlab Bicocca, dove l’arte è stata integrata in modo strutturale negli spazi lavorativi.
Nell’ultima sezione del convegno Massimo Sterpi, avvocato specializzato in diritto dell’arte, ha denunciato l’arretratezza della normativa italiana. Le regole attuali, risalenti a un’Italia ottocentesca, penalizzano il collezionismo e bloccano il mercato. In particolare, le rigidità sulle esportazioni e le notifiche dei beni culturali creano diffidenza e svalutano le opere, arrivando a ridurre il loro valore anche di due terzi. Il collezionismo privato viene spesso percepito come un ambito a rischio o addirittura criminalizzato, soprattutto nel settore archeologico.
Sterpi richiama con forza l’urgenza di aggiornare la normativa italiana allineandola agli standard europei. Attualmente, la soglia per esportare liberamente opere è fissata a soli 13.500 euro, mentre in altri Paesi europei varia tra i 180.000 e i 300.000 euro, una differenza che penalizza notevolmente gallerie, case d’asta e collezionisti, spingendoli a operare spesso fuori dai confini nazionali.
Infine Paolo Turati, economista e avvocato, ha approfondito le problematiche fiscali legate alle plusvalenze nel mercato dell’arte. Un tempo, le plusvalenze erano esenti dopo due anni dalla vendita, ma oggi l’assenza di una normativa chiara e l’interpretazione restrittiva da parte dell’Agenzia delle Entrate creano incertezza e timore tra gli operatori. Turati cita il caso emblematico di un collezionista accusato di speculazione per aver semplicemente prestato un’opera a un museo prima di venderla, una prassi internazionale normale ma vista con sospetto dalle autorità fiscali italiane.
Questa situazione porta molti a scegliere tra dichiarare e rischiare imposte elevate o non dichiarare con conseguenze penali, un bivio problematico per il settore.
Entrambi gli esperti sollecitano dunque interventi urgenti e strutturali: regole più chiare, soglie di esportazione più elevate, norme fiscali certe e una sanatoria per i reperti archeologici privati, oggi spesso lasciati in un limbo giuridico. È necessario superare la criminalizzazione dell’arte antica, costruendo invece un rapporto di fiducia tra privati, istituzioni e mercato. Chiude il quadro un segnale positivo: l’approvazione imminente in Italia di un’IVA ridotta al 5% per le movimentazioni artistiche, un primo passo verso una visione più moderna e integrata dell’economia della cultura, in linea con le pratiche europee.